Rimbombano nelle orecchie.
BUM. Bum. Bum.
Rosso fuoco, rosso sangue, rosso morte.
Solo il rosso ricordo. Rosso ovunque. Rosso negli occhi,
rosso sulle mani, rosso nel cuore.
Una goccia di sudore scivola sulla mia fronte. Percorre
sentieri che nessuna carezza percorre più da tempo.
Un flash. Un lampo improvviso di luce squarcia le mie
palpebre chiuse.
Mi tremano le mani. Sono imprigionato in una realtà
diventata incubo, in un luogo che non sogno.
Ordino ai miei occhi di tornare a guardare la vita, non più
la morte.
Apro gli occhi. Respiro profondamente. Lascio che l’aria
stantia ossigeni ogni singolo anfratto del mio corpo. Deglutisco dolorosamente.
Devo calmarmi. Ma non ci riesco. Non dormo da un’eternità, o almeno così mi
sembra. Sogno un sonno senza sogni. Un
sonno ristoratore. Un sonno silenzioso. Un sonno in bianco e nero.
Mi guardo intorno. Cerco di non dare nell’occhio più del
necessario, anche se il mio abbigliamento non aiuta. Stiro una piega con la mano sui pantaloni
verdi. Verdi come il rosso della guerra. Verdi di rispetto, verdi di autorità e
sottomissione. Verdi di paura e coraggio. Verdi di amore e odio.
L’aereo sorvola il mio paese. Ne sento quasi il profumo.
Profumo di erba, di sole, di pioggia e di felicità. Profumo di amore, di baci,
di noi.
Il pilota esegue una manovra perfetta. Lentamente
iniziamo a scendere. Un’emozione che non
provo da tanto comincia a nascere nella
pancia. Sembra di tornare bambino. Sembra gioia, ma non ne sono sicuro. Le mani
riprendono a tremare, ma questa volta non mi da fastidio.
Chiudo gli occhi. Spero di vedere te. Ma vedo solo polvere
rossa, vedo dolore e paura. La paura ha il volto verde, come i miei pantaloni.
Verde come giovani ragazzi che non hanno più notti da aspettare.
Le ruote baciano l’asfalto. L’aereo di ferma. Possiamo
scendere. Io aspetto. Così mi hanno insegnato.
Quell’emozione nella mia pancia sta diventando sempre più
rumorosa. non riesco a contenerla e esplode in un sorriso. Non pensavo sarei più stato in grado di
farne.
Non ho bagagli io. Solo la mia sacca. La prendo dal vano
sopra la mia testa. Pesa tanto. Pesa di morte, di amici perduti e di fidanzate
da consolare. Pesa di maturità e di consapevolezze.
Seguo la massa verso l’uscita dell’aeroporto. Una porta
bianca in fondo mi separa dalla mia vita futura.
Mi fermo. L’ho promesso.
Mi inginocchio sul pavimento bianco tirato a lucido e prego
per tutti coloro che non ce l’hanno fatta e per tutti coloro che sono ancora
lì. Prego per me, per non doverci più tornare.
i marines non piangono. Mi alzo. La gente mi guarda con
ammirazione. Solo per questo verde che indosso.
La porta scorrevole si apre. Non so se voglio guardare.
Alzo la testa. Ti vedo. La più bella tra tutti. Mi avvicino.
Ti accarezzo. Ti amo. Chiudo gli occhi. Vedo te.
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